Catania, il calcio e il fascismo Parte 1/3

Il 28 ottobre del 1922 uomini in camicia nera marciarono su Roma rivendicando il controllo politico del Regno d’Italia e minacciando, in caso non lo ottenessero, la presa di potere tramite le armi. Questo evento passò alla storia come La Marcia su Roma e segnò l’esordio del periodo fascista.

I giovani d’oggi stanno vivendo una fase acritica e banale dal punto di vista culturale, la storia sembra perdere peso e il fascismo come l’antifascismo si stanno riducendo a slogan privi di reale contenuto storico ed ideologico.

Eppure il fascismo ha rappresentato per un intero ventennio il potere nazionale influenzando tutti i settori sociali. Anche il gioco del calcio subì l’influenza fascista trasformando la propria struttura ed adeguandola alle esigenze del regime.

Il fascismo comprese immediatamente la grande potenzialità del calcio come strumento di aggregazione di massa, e quindi di controllo, per questa ragione il regime agì sviluppando e strutturando il gioco e divulgandolo in tutta la penisola. Occorre dunque sottolineare che nonostante il fine discutibile il fascismo contribuì notevolmente allo sviluppo del calcio e alla sua modernizzazione.

Alcuni studiosi hanno dichiarato che il calcio nasce e si sviluppa proprio durante il fascismo, in realtà non è così, il fascismo ha contribuito alla strutturazione della disciplina sportiva ma le prime squadre nacquero tra il 1880 e il 1890 quando ancora il fascismo non esisteva e il gioco si sviluppò spontaneamente dopo la I guerra mondiale.
Interessante è aprire a questo punto una piccola parentesi per cercare di capire quando il calcio realmente entrò a fare parte del tessuto sociale e culturale del nostro paese; anche se risulta difficile rispondere a questo interrogativo vista l’enorme fonte di notizie spesso contrastanti sull’argomento.
Secondo gli stessi fascisti il calcio ha origini fiorentine. Molti studiosi, diversamente dai fascisti, credevano che il calcio avesse origini napoletane. La tesi più probabile è quella che il calcio arrivò in Italia grazie ai mercanti inglesi che conoscevano già da tempo questa disciplina sportiva, in questo caso la porta d’ingresso per il calcio è stata Genova perché città portuale; a conferma di questa teoria esiste il fatto che proprio a Genova sono nate le prime società sportive. Una cosa è sicura: lo sviluppo del calcio è stato strettamente collegato allo sviluppo industriale. È stata infatti la nascente borghesia industriale ad investire su questa disciplina sportiva, che inizialmente si sviluppò attorno ai poli industriali del nord: Genova, Torino, Milano. Nel sud il nuovo sport tardò ad attecchire per l’estensione di aree rurali e la mancanza di grandi città che non favoriva la partecipazione della massa.

L’intellighenzia del regime fascista asseriva che il calcio da solo non bastava per dialogare con le masse ma rappresentava comunque uno dei mezzi più efficaci per raggiungere tale obiettivo. Infatti nel 1926 venne stilata la Carta di Viareggio, un documento ufficiale che riorganizzava il gioco e offriva direttive precise a tutti gli enti atti a regolare il calcio. La FIGC controllata dal fascismo creò una nuova lega nazionale divisa in due settori: nord e sud. Negli anni 30 nacque la prima lega nazionale unica per tutta l’Italia (d’altronde dal punto di vista fascista l’esistenza di due settori calcistici era inaccettabile, cozzava con l’idea di patria e nazionalismo). Il progetto fu accompagnato da ingenti investimenti atti alla realizzazione di stadi e infrastrutture per lo sviluppo armonico del calcio in tutta Italia.