Un catanese di nome Calì

Sicuramente (catanesi esclusi) pochissimi conoscono l’esistenza di un piccolo comune in provincia di Catania di nome Riposto, attualmente il comune è abitato da circa 15.000 cittadini. Il suo nome deriva dal siciliano u ripostu cioè il ripostiglio; il comune fu così denominato perché le vicine città depositavano vino e prodotti agricoli in prossimità dell’imbarco per l’esportazione; l’esportazione e l’importazione per lungo tempo furono le attività principali del comune, le colonne portanti dell’economia territoriale.

Il nome Riposto dà l’idea di qualcosa finita in cantina, una realtà messa nell’ombra, un baule di ricordi dimenticato chissà dove. Eppure a Riposto nacque Francesco Calì il primo capitano della prima nazionale di calcio.

Francesco Calì nacque il 16 maggio del 1882, un periodo di forti contrasti e cambiamenti sociali che coinvolsero tutto lo stivale. In particolare l’inizio del ‘900 fu caratterizzato dall’insorgere delle organizzazioni dei lavoratori in lotta. Soprattutto il nord della penisola conobbe un’ondata di scioperi, occupazioni e manifestazioni che sconvolsero l’ordine esistente. Il governo rispose con una dura repressione. La situazione politica e sociale precipitò durante il 1898 a Milano, la gente manifestò con foga, ci fu l’assalto ai forni reclamando pane e lavoro. Il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla massacrando alcune centinaia di persone. In seguito la polizia del regno arrestò i principali dirigenti socialisti, chiuse la stampa d’opposizione e le sedi dei partiti e dei movimenti operai. Nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci per vendicare i lavoratori organizza l’attentato al Re Umberto I; Bresci ucciderà il Re sparandogli quattro colpi di pistola mentre il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese.

Un vero terremoto politico fu quello che scaturì dall’attentato. Ad Umberto I succede il figlio Vittorio Emanuele III e in contemporanea spicca la figura politica di Giovanni Giolitti che guiderà le sorti del paese per un lungo periodo dal 1901 al 1913.

Il piccolo comune di Riposto non rimane “indifferente” di fronte ai grandi avvenimenti di quegli anni. La storia in genere descrive solo ciò che accade nelle principali città, raramente è possibile trovare in un libro notizie relative a piccoli comuni. Eppure al di fuori dei libri la storia passa e lascia ovunque il suo segno, anche Riposto, u ripostu di tutti, visse quei duri anni. L’espansione coloniale verso la Libia, avvenuta sotto il governo Giolitti, e poi lo scoppio della Prima Guerra Mondiale impoverirono Riposto per la chiusura dei suoi mercati di esportazione-importazione una delle principali ricchezze del paese. Questa difficile situazione convinse molti ad abbandonare il piccolo comune e cercare fortuna all’estero. Con molte probabilità non fu questa crisi economica che spinse la famiglia Calì a lasciare la propria terra e cercare fortuna all’estero, infatti la famiglia Calì emigrò prima della grande crisi portuale.

Francesco Calì si trasferisce con la famiglia in Svizzera dove studia e aiuta il padre nell’esportazione di limoni. Proprio in questa lontana terra oltre le Alpi il giovane Calì scopre il calcio e se ne innamora. Ritornato in Italia mette radici a Genova e inizia a giocare da professionista indossando la maglia di diverse società sportive. Gioca come terzino per il Genoa con il quale disputa il quarto campionato di calcio italiano, poi passò all’Andrea Doria. In questo periodo (1908) a Catania nasce la prima squadra ufficiale di calcio denominata Associazione Sportiva per l’Educazione Fisica Pro Patria.

Il 15 maggio 1910 Francesco Calì fu convocato dalla Nazionale Italiana di Calcio. La nazionale italiana, allora in maglia bianca, giocò all’Arena di Milano la sua prima partita, affrontando in un’amichevole la sempre ostica Francia. La partita finì trionfalmente 6 a 2 in favore dell’Italia, capitanata proprio da Francesco Calì. Anche in occasione della seconda partita (il 26 maggio 1910 contro l’Ungheria) fu scelto come capitano azzurro. Questo ci permette di affermare che il primo capitano della prima nazionale di calcio fu un catanese. Calì ebbe una lunga e incisiva carriera sportiva, il suo passaggio lasciò un segno indelebile nella storia del calcio italiano. Sicuramente quegli anni, esenti dall’uso di mezzi di comunicazione di massa, non agevolarono la fama al capitano catanese, non esistevano le televisioni che portavano in tutte le case le prontezze dei calciatori, né esistevano strumenti pubblicitari utili ad amplificare il talento degli atleti e crearne dei miti. Molti nomi finirono nell’anonimato. Giuseppe Bagnati e Gaetano Sconzo, autori del libro “Il Primo Capitano – Francesco Calì e la Nazionale”, descrivono in modo esemplare quegli anni e quei momenti: “un calcio di pionieri con abbigliamenti artigianali, le trasferte sono organizzate alla meglio con panini al seguito”. Una nazionale fatta da operai che dovevano cercare il permesso per potere partecipare alla partita. Però la storia non è fatta di immagini gonfiate e media che sventolano volti e nomi, la storia è fatta da uomini comuni che un po’ per il loro talento, un po’ per un gioco del destino, si trovano nella condizione di potere lasciare un segno nel tessuto storico e sociale imprimendo per sempre il loro nome come simbolo nell’immaginario collettivo. Calì fu uno di questi, un uomo comune nato in una piccolissima porzione di terra senza onori né glorie. Un uomo che iniziò a giocare per hobby e scoprì così la sua passione per uno sport ancora agli albori; una enorme passione accompagnata da un grande talento.

Il mondo del calcio coinvolse totalmente Calì, non solo ricopri il ruolo di terzino ma, dopo il ritiro come calciatore, fu scelto più volte come membro della commissione tecnica della nazionale.

Completata la sua carriera sportiva rimase a Genova dove accantonò il calcio e tirò fuori l’iniziativa privata per vivere, infatti iniziò a stampare e vendere cartoline facendo di questa sua nuova attività commerciale lo strumento per vivere e offrire dignità economica alla sua famiglia. La nuova attività professionale intrapresa da Francesco Calì testimonia il fatto che erano altri tempi ed era un altro calcio molto diverso da quello odierno, con il calcio si viveva ma non si arricchiva, terminata la carriera occorreva ritornare a lavorare.

Calì passò tutto il resto della sua vita a Genova e lì morì il 3 settembre del 1949 a 67 anni.