Cento anni di Palermo a Palermo

Quando gli amici di Diario Rossazzurro mi hanno chiesto di scrivere qualcosa che parlasse di Palermo e del Palermo, ho pensato subito che non doveva essere un insieme di numeri o statistiche, ma qualcosa di diverso, a rischio di essere magari mal interpretato. Correrò questo rischio, sperando di non fare troppo “scrusciu”, come si dice dalle nostre parti.

La storia del Palermo inizia nel 1900, quando Ignazio Majo Pagano, giovane ed intraprendente Palermitano di fine secolo, dopo un viaggio in Inghilterra rimase affascinato dal gioco visto praticare oltre Manica e decise di esportarlo in città. Da allora a Palermo è esistito esclusivamente il Palermo, squadra di calcio con undici giocatori in maglia rosanero, con campo di gioco circondato da gradoni di cemento armato immersi e soffocati dal verde del Parco della Favorita, con tifosi che da generazioni si tramandano i vecchi riti pre-partita del panino con le panelle piuttosto che della cartata di frittola, della calia e della semenza, da sgranocchiare durante le fasi di gioco più emozionanti, un chewing-gum tutto nostrano per permettere di allentare la tensione agonistica.

Riti che si consumano ancora oggi che il Palermo ed i Palermitani si apprestano a disputare il quarto campionato di serie A consecutivo di un ciclo che ha consentito di ottenere i migliori risultati della pluricentenaria storia delle maglie rosanero.

Nel mezzo poco meno di venti campionati di serie A, il primo ad inizio degli anni trenta, quando il portiere Valeriani ed i terzini Cerutti e Lo Prete ispirarono la vena poetica del futurista Russo Perez, la qualifica di “squadra ascensore” acquisita a cavallo degli anni 50 e 60, quando si saliva e scendeva con straordinaria disinvoltura dalla serie A alla B, due sfortunatissime finali di coppa Italia maggiore, la prima scippata al 91’ dall’arbitro Gonella e dal tuffatore Bulgarelli nel 1974 e persa poi a rigori e la seconda “prelevata” dalla Juventus a tre minuti dalla fine del secondo supplementare, nel 1979.

Quindi le note in assoluto meno liete, il fallimento del 1987, l’anno senza calcio, il declassamento a squadra ascensore di serie C, quindici anni di campionati più o meno anonimi, una coppa Italia di serie C dopo altre quattro finali perse, una retrocessione in C2, minimo storico della nostra storia. E proprio sul fallimento del 1987 vorrei spendere qualche rigo in più, a beneficio di tanti ragazzi catanesi che parlano magari più per slogan che per effettiva convinzione e che ignorano gli eventi di quegli anni. Nell’ordine: non siamo e non siamo mai stati la Palermolimpia, l’Olimpia Palermo, il Campania-Puteolana. Il Palermo dal punto di vista societario rinacque il giorno dell’Epifania 1987 con la denominazione U.S Palermo, la Palermolimpia continuò a giocare per una decina d’anni fra i dilettanti prima di cedere il proprio titolo a Misilmeri, il Campania-Puteolana restò tale e non cedette mai il titolo a Palermo. Siamo U.S. Città di Palermo dal 1995, per un artifizio a metà strada fra il burocratico ed il megalomane dell’allora Sindaco Leoluca Orlando, che impose la nuova denominazione in cambio del contributo miliardario che permise l’iscrizione della squadra al campionato di serie B. L’accordo è scaduto da un paio di anni, ma ancora non si è ritornati alla vecchia denominazione sociale per tutta una serie di motivi che non sto qui ad elencare. Spero che quanto scritto possa contribuire a chiarire le cose a 192 km est da dove vi sto scrivendo.

Questo il Palermo in breve. Poi ci sono i Palermitani. Iniziamo da un concetto basilare: i Palermitani che tifano solo Palermo sono pochi, così come sono pochi i Catanesi che tifano esclusivamente Catania o i Baresi che tifano Bari. Siamo pochi perché siamo Italiani e per giunta del Sud, uomini e donne che la dominazione straniera dopo duemila anni l’hanno metabolizzata al punto da far parte del nostro corredo genetico. Gente che si addormentava araba e si risvegliava normanna, che un giorno parlava francese e l’altro spagnolo. Questo, salvo rari casi, ci ha portato a stare sempre dalla parte del più forte, dalla parte dei vincenti ed il calcio non fa eccezione. Al Sud i molti che non tifano per la squadra della loro città sono per lo più bigami, divisi fra il bianconero ed il rosanero piuttosto che fra il rossonero ed il rossazzurro, gente capace di gioire contemporaneamente per la Uefa conquistata dal Palermo e lo scudetto finito ad una squadra di Torino.

Palermitani capaci di accendersi in un istante e di deprimersi quello successivo, vicini al limite del fastidio alla squadra e capaci poi di abbandonarla in massa negli anni più bui della nostra storia, quando allo stadio ci si arrivò ad andarci in duemila. Tifosi che spesso hanno fatto male alla squadra e alla città, con comportamenti ben oltre le righe, ma che altre volte hanno lasciato delle belle pagine di umanità e mi viene di pensare alla delegazione di ultras rosanero presente ai funerali del presidente Angelo Massimino. Gente nella norma, come dicevo. Per i Superman del tifo i tempi non sono ancora maturi.

Questo il Palermo, questi i Palermitani in una città che negli ultimi cento anni ha vissuto anch’essa trasformazioni epocali, momenti di splendore e di tragedia. Dalla Palermo splendida dei Florio, città europea in una giovane Italia, meta delle migliori intelligenze del vecchio continente, capitale del Liberty che si trova in centinai di splendidi esempi architettonici, alla Palermo del sacco edilizio degli anni settanta, dei politici collusi con la mafia, del voto di scambio come prassi sostitutiva all’ufficio di collocamento, passando per due guerre mondiali, l’ultima devastante per il tessuto cittadino ed una guerra mai dichiarata, ma ugualmente tremenda, quella di Cosa Nostra allo Stato, quella combattuta e terminata col sacrificio della propria vita da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La Palermo del 2000 sembra volere cambiare, sembra dare sussulti di una vitalità per troppo tempo messa da parte, oscurata dalla prepotenza di pochi e dal fatalismo di tanti. Tocca a noi Palermitani ricostruire dalle macerie del passato. Non sarà facile, ma non é nemmeno impossibile.

Un conto è avere la cattedrale, il Palazzo dei Normanni, la cappella Palatina, il Teatro Massimo, il Castello della Zisa, la Cuba, i Qanat, il Ponte Ammiraglio, le decine di Chiese artistiche del centro storico, la Palazzina Cinese, lo stabilimento Italo-Belga a Mondello, un conto dicevamo è possedere tutte queste meraviglie, un altro è girare fra esse a testa alta.

Teniamolo sempre a mente.