I Siciliani, settembre 1993

Catania nel pallone

Da “I Siciliani” del settembre 1993

CALCIO/IL PASTICCIO DELL’ESTATE

Catania nel pallone

Massimino, Proto, Attaguile, Massimino, Proto, Massimino: dietro la storia del Catania Calcio dieci anni segnati da affettuosi onorevoli, falsi imprenditori, improvvisati tifosi, cattivi ragionieri

di Piero Dupplicato

Alla fine è venuto fuori un pasticciaccio. Catania prima si è svegliata senza calcio professionistico e poi si è ritrovata con troppe squadre, mettendo in crisi l’intera federazione nazionale. Così dieci anni di tormenti, di crisi, di litigi, di falsi entusiasmi e soprattutto di tanta, tantissima carta bollata sono finiti sulla prima pagina di tutti i quotidiani italiani.

Dieci anni segnati da affettuosi onorevoli, falsi imprenditori, improvvisati tifosi e cattivi ragionieri. Al Catania Calcio, per esempio, l’emergenza economica negli ultimi tempi era diventata di casa; ma nessuno aveva mai creduto che, a dieci anni dalla partecipazione all’ultimo campionato di serie A, per la società rossazzurra fosse giunto il momento di sentirsi dire: “beh, grazie per il passato, ma adesso non avete più i numeri per stare col calcio che conta”. Che poi “il calcio che conta” si fosse ridotto da un po’ di tempo al campionato di serie C1, questo è un altro discorso.

Strano destino quello della società rossazzurra. Travolta dai debiti durante la forsennata gestione di Angelo Attaguile (finito in carcere per scandali legati all’Istituto Case Popolari di cui era presidente), era sempre stata incredibilmente salvata dalla Federcalcio il cui presidente, il democristiano Antonio Matarrese, fino allo scorso anno si dimostrava sempre particolarmente sensibile agli appelli degli amici deputati che dal calcio traevano la linfa vitale per le loro performance elettorali.

Non è certo un mistero, ad esempio, che l’ex presidente della Regione, l’onorevole Rino Nicolosi, fino allo scorso anno l’uomo più potente della città e forse dell’isola, avesse una linea calda diretta con Matarrese; entrambi erano della corrente che faceva capo all’onorevole Ciriaco De Mita. Era stato proprio Nicolosi un paio di anni fa a volere alla guida del Catania calcio proprio Angelo Attaguile.

Ora che il ciclone Tangentopoli ha impedito il gioco delle tre scimmiette e che oltre a vedere, sentire e parlare è assolutamente necessario rispettare le regole, ecco che il Catania Calcio viene messo alla porta e addirittura radiato dalla Federazione; proprio nell’anno in cui Angelo Massimino aveva deciso di mettere mano al portafoglio per ripianare tutti i debiti. Eppure, se di una cosa erano certi alla Covisoc (l’organismo della Federcalcio che controlla lo stato di salute economica delle società professionistiche del calcio italiano), questa era proprio l’enorme solvibilità di Angelo Massimino. E allora?

“Allora – dice Franco Proto, l’imprenditore di Troina che a Catania si occupa di forniture ospedaliere e che in pochi anni ha portato in C1 la Leonzio, la squadra di Lentini, un centro a metà strada tra Catania e Siracusa – la solvibilità personale ha la sua importanza; ma più importanti sono gli adempimenti previsti dai regolamenti e sollecitati dalla Federazione. E Massimino non ha rispettato le scadenze”. Proto, baffetti sottili alla Clark Gable e aria da management, per qualche settimana è sembrato l’uomo nuovo del calcio catanese. Era già successo nell’87, quando con lui iniziò il “nuovo corso” del Catania: quello che – si diceva – avrebbe dovuto portare il disastrato sodalizio rossazzurro, nel giro di qualche stagione, ai massimi livelli. Angelo Massimino era precipitato in pochi anni dalla serie A alla C1. A guidare l’operazione del rilancio del calcio etneo fu l’onorevole Rino Nicolosi che, intervenendo su Acireale, Catania e Giarre voleva forse, oltre a svolgere una “meritoria azione sociale”, garantirsi l’ampio elettorato dato dalle tifoserie locali.

Ad Acireale mise il cognato Enrico Barbagallo; a Giarre fece appoggiare il presidente Musumeci da alcuni imprenditori, così come adesso racconta ai magistrati il costruttore-pentito Giovanni Di Marco. A Catania, infine, Nicolosi creò l’accoppiata politico-imprenditoriale formata appunto da Angelo Attaguile e Franco Proto. Appoggiati da una tifoseria assetata di successi e da una stampa locale che contro Angelo Massimino aveva intrapreso una feroce battaglia, i due si presentarono con i miliardi necessari per rilevare il Catania.

Ma l’accoppiata durò poco. L’uomo nuovo, ben presto, se ne andò. “Io e Attaguile – dice adesso Proto – avevamo due concezioni totalmente diverse della gestione societaria: lui sempre legato alle attività clientelari, a favorire tizio perché era nipote di caio e a comprare quel giocatore famoso perché faceva contenti i tifosi. Io invece ero per una politica societaria attenta soprattutto a valorizzazione i giovani. Col Catania ci ho rimesso seicento milioni; ma ho preferito togliere subito il disturbo”.

E allora Attaguile, rimasto solo, cominciò a fare da padre-padrone: ingaggiò con contratti triennali i giocatori di serie superiore, quasi tutti a fine carriera. Dilapidò le risorse della società al punto che il consiglio di amministrazione gli vietò di staccare assegni dal conto corrente. Quando lo scorso anno la situazione divenne insostenibile e la Federcalcio propose la messa in liquidazione della società, il debito accertato dai liquidatori e descritto nelle relazioni depositate alla cancelleria del Tribunale di Catania era di ben quattordici miliardi, dei quali solo poco più della metà era garantito dal capitale sociale e dal parco giocatori.

E a quel punto rispuntò di nuovo Massimino. Avanti negli anni, sofferente di diabete, il vulcanico presidente mise mano al portafoglio e, incoraggiato dal quotidiano del mattino catanese – che con grande disinvoltura aveva cancellato i dissapori del passato – rimise in sesto le casse societarie pagando debiti e giocatori. Massimino cominciò bene, finché – ed è storia recente – con applicazione quasi borbonica dei regolamenti, la Federcalcio non decise improvvisamente di radiare il Catania, cancellando quasi mezzo secolo di storia rossazzurra. Bisognava, dunque, cominciare daccapo.

A questo punto Enzo Bianco, tornato da poco a fare il sindaco, si offre di cavalcare la tigre e propone di trasferire a Catania la Leonzio (che, in effetti, altro non è che l’ex Atletico Catania, trasferitosi anni addietro a Lentini in cerca di spazio e di pubblico). A gestire la Leonzio, da quattro anni, è proprio Franco Proto, che pian piano l’ha portata dal campionato Dilettanti alla C1. Essendo già scaduti i termini per il trasferimento, l’intervento di Bianco incontra subito opposizione. I lentinesi, spalleggiati dai politici aretusei, non sono disposti a subire lo scippo. Qualcuno sostiene che il sindaco abbia addirittura pilotato l’esclusione del Catania Calcio. “Ma non scherziamo – dice Proto – Bianco non ha gestito proprio nulla. Ha solo fatto, come sindaco, una proposta di trasferimento che io avevo ipotizzato due anni fa; e per la cui realizzazione ero stato garantito dal presidente della Lega di serie C Giancarlo Abete”.

La “querelle” dura un mese; poi Matarrese decide di lasciare tutto com’è. La Leonzio resta a Lentini, e Catania iscrive una squadra nel campionato Dilettanti: a gestirla ancora una volta è Franco Proto, che si ritrova adesso proprietario di due società. Proto vorrebbe vendere quella di Lentini e comincia a travasare le forze migliori del suo staff societario in quella di Catania. Massimino, però, torna in scena a sorpresa: il Tar ordina alla Federazione di riammettere la sua squadra in C1. E il calcio a Catania, ancora una volta, ricomincia da lui.