Uomo solo contro tutti

Da "Il Corriere dello Sport" del 5 marzo 1996
Quella battaglia per Catania

Uomo solo contro tutti

di Angelo Pesciaroli
Lo conobbi, in pratica, solo in un caldo pomeriggio del primo lunedì di agosto ’93. Prima i nostri rapporti di lavoro erano stati fugaci, d’inverno in qualche spogliatoio, d’estate nei saloni del mercato, Gallia, Leonardo Da Vinci, Milanofiori. Come tanti giornalisti, di Angelo Massimino conoscevo solo l’antologia delle frasi famose (l’«amalgama» da acquistare magari in comproprietà) e delle esplosioni negli spogliatoi. Come quella volta che l’arbitro Benedetti di Roma aveva annullato per gioco pericoloso uno splendido gol su sforbiciata di Cantarutti. Alla Juventus, mi pare.

Quel primo lunedì di agosto Massimino si presentò in redazione con un pacco di documenti: «Venerdì il mio Catania è stato radiato, sabato ho fatto aprire gli sportelli di una banca e ho messo tutto in regola. Stamane sono andato a bussare in Federcalcio, ma non mi hanno neanche fatto entrare. Eppure io ad Antonio lo feci eleggere presidente di Lega. Studiate questi documenti e decidete voi se è il caso di darmi una mano sul giornale». Il famoso caso Catania nacque così.

Io mi convinsi che, al di là delle sottigliezze della Covisoc, in un mondo calcistico che stava franando, con decine di società che ogni anno fallivano, non si poteva chiudere la porta in faccia a un imprenditore un po’ disordinato che era pronto a pagare subito e di tasca propria, in contanti, l’errore del venerdì precedente. E, senza essere un professionista del diritto, mi resi subito conto che quella famosa decisione del Consiglio Federale avrebbe procurato molte seccature e guai in via Allegri. C’era un fatto che, pur non essendo stato uno studente modello a giurisprudenza, non mi tornava: come fa, mi dicevo, la Federcalcio a decidere in proprio la radiazione del Catania dopo aver già affidato la stessa pratica al Tribunale Civile?

E per tutta quell’estate fu una battaglia giornaliera, sbeffeggiata da qualche collega, nella quale mi resi conto subito di una realtà che il tempo, galantuomo, avrebbe confermato. La vita di Angelo Massimino, ricco di immobili e con una famiglia sistematissima, avrebbe avuto ormai un solo scopo: ottenere la riabilitazione del suo Catania. Un obiettivo persino più importante della sua salute, con la vista che lo stava già abbandonando, con il diabete che saliva, sempre di più. E lentamente, giorno per giorno, mi affezionai a quest’uomo che portava il mio stesso nome e che aveva dimenticato il famoso amalgama.

Lo dissi anche a Pescante al quale i legali del Catania si rivolsero con il primo ricorso: «Presidente, le suggerisco una scappatoia. Senza dar torto a Matarrese, riammetta il Catania come atto di generosità legato alla sua recente elezione». Pescante non mi ascoltò, si rimise ai suoi «saggi», richiamati dal mare, e restituì i venti assegni circolari da cento milioni, incartati in un fazzoletto bianco, con i quali Massimino si era presentato al Foro Italico.

Tutto inutile. Ma prima il giudice Zingales, poi quelli del Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo, stabilirono con chiarezza che questo giornale non aveva appoggiato una battaglia donchisciottesca. La radiazione fu cancellata, ma la serie C non venne restituita dalla Federcalcio. Sono passati quasi tre anni e il giudizio di merito del TAR deve ancora essere emesso. Ricordo quando, dopo aver fatto il giro dei migliori oculisti di tutta Europa, Massimino si recò a Boston per farsi operare. Mi telefonò dalla sua stanza d’ospedale. «Avvocato – mi aveva ribattezzato così facendo rivoltare nella tomba mio padre che avvocato e non giornalista mi avrebbe voluto – una preghiera: voi dovete citare sul giornale il nome del chirurgo e dovete scrivere che persino qui vogliono il Catania in serie C1». Sì, anche nel Massachusetts.

Non ha fatto il tempo a vedere né la fine della sua battaglia né il coronamento dell’ultimo sogno della sua vita. Un campione di determinazione. Per questo motivo i suoi familiari si sono guardati sempre dallo scoraggiarlo. Come frenare chi continua a battersi da leone per una squadra che non riesce più neanche a vedere? Io spero che la sua opera non rimanga incompiuta e che qualcuno, magari con lo stesso cognome, si assuma l’impegno di perseguire l’obiettivo di Angelo. Un uomo che amava il Catania e i catanesi con una forza d’animo che cresceva in maniera inversa alla vigoria fisica. Addio, presidente, e grazie. Lei è stato l’unico che, in qualche modo e senza saperlo, ha fatto felice mio padre, sepolto a Canepina.

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